Dentro viale Bligny 42

Quella volta in viale Bligny 42

, 20 febbraio 2012
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La cosa che ricordo più distintamente della mia pausa pranzo in viale Bligny 42, dentro quello che a Milano chiamano Piccolo Mondo, è il buio nei corridoi del palazzo. Si tratta di un buio osmotico, che annerisce facce e pareti e si fa cifra comune fra tante e discontinue forme.

 

 

Nel Piccolo Mondo ci sono trecentouno micro unità abitative, distribuite su cinque piani, in quattro rampe di scale che danno su una corte rettangolare, protetta. È uno spazio vecchio, con un’anima popolare, cui si accede attraverso una volta ad arco che non lascia intravedere da fuori quasi nulla dell’interno. Eppure già la facciata, col suo colore sabbia, la sagoma vuota dei campanelli e le decine di piccole finestre, racconta che quello è un quartiere a sé, distinto dal resto, corpo estraneo – eppure mimetico. Le stime non ufficiali raccontano di quasi un migliaio di inquilini, alcuni abusivi; sono soprattutto nord-africani e sudamericani, ma ci vivono anche studenti italiani, di certo non vicini bocconiani, alcuni iscritti a Brera. Artisti, designer, un deejay. Una casa editrice.

Da tutti Bligny 42 è considerato il fortino della droga di Milano. La polizia qui ogni tanto fa delle retate da film americano. Senza grossi risultati, si direbbe. Una volta – mi hanno raccontato – gli agenti sono arrivati d’assalto, con un elicottero. Giù, dal cielo a Bligny 42.

Chissà che faccia deve aver fatto, quella volta, la Pia. La portinaia. Mai vista sorridere. Occhiali spessi, sguardo severo. Quando passo lì davanti ho sempre l’impressione che mi voglia dare una ramazzata in testa. Io guardo curioso. Anche dalla bicicletta. Sbircio sempre. Una volta l’ho vista prendersela con una ragazza che, evidentemente alterata, voleva a tutti i costi entrare nel cortile. Prendeva la rincorsa e lei la bagnava con una canna dell’acqua, per mandarla lontano. La malediceva con gli occhi. Che faccia. Milanese costretta a trasferirsi a Napoli, o in qualche altra città feroce e disordinata, avrei detto a guardarla. Lei, da brava portinaia, tiene le fila del palazzo. Intoccabile, chi la sposta?

A pranzo, lì, c’ero stato per far visita a un amico. Permanenza temporanea. Lui, scrittore; romagnolo con un pezzetto di cuore a Milano. Il suo editore l’aveva mandato a cercare delle storie e lui, secondo me, era venuto nel posto giusto. In Bligny 42 i muri parlano (le persone meno: bisogna conquistarsele).

Alloggiava al quinto piano, in mansarda, un buco di appartamento, uno dei tanti. La porta prima della sua era sprangata con una catena di ferro, rivestita di plastica gialla: una di quelle spesse, che si usano per bloccare i cancelli in ferro. Mio padre ne aveva una uguale, nel suo deposito attrezzi. Appena l’ho vista mi sono subito chiesto cosa ci fosse mai di tanto importante da proteggere, dentro, e perché un colpo di chiave non bastasse. Subito a fianco, nel lato del corridoio di fronte, uno stendino per i panni stava lì a ricordarti che qualcuno, quel posto, lo chiama “casa”: ci vive, ci mangia, ci dorme. E forse, in quel periodo, ad abitarci era la coppia di ragazzi che avevo incrociato nel corridoio e di cui non avevo ricambiato lo sguardo.

Fino al terzo piano, quando si va in viale Bligny 42, si è come scortati. Qualcuno ti segue. E se non lo fa fisicamente, lo fa con le palle degli occhi. Una struttura paramilitare. Silenziosa ma efficiente. Accettata. Penso che anche a questo ci si abitui: famiglie, donne, vecchi, transessuali, bambini, giovani ragazze, nessuno ci fa veramente caso, nel Piccolo Mondo. E, passato il pianerottolo della signora Maria (lo si riconosce dai gerani rossi), la camminata prosegue più libera, senza scorte. Si passa anche quel corridoio basso, nel cui controsoffitto, qualche anno fa, in una delle retate spettacolari le forze dell’ordine avevano trovato nascosto un mitra. Il mio amico stava al piano di sopra.

Il Piccolo Mondo è Milano ed è anche, nettamente, altrove: Marrakech, Palermo, Istanbul, Il Cairo, Lisbona, Napoli o San Paolo. Lingue, parabole, cellulari, radio. Odori che si mangiano. Mi ricordo le risate sguaiate dei vicini e il mio collo rigido a controllare la vita dentro e fuori dall’appartamento. Quella volta lo scrittore mi ha preparato le piadine. In quella piega nello spazio, dentro o fuori Milano, abbiamo parlato tantissimo della nostra città.

Sono passati due anni, da allora. Ma ci tornerò, in Bligny 42. Stavolta con una macchina fotografica.

Il video “42”, in testa al post, è un progetto di http://42film.wordpress.com.

La bellissima testimonianza di una ex inquilina, nel blog di Grazia.