Andare in bicicletta a Milano. E sopravviverne

, 2 marzo 2011

Vivere una città dalle ruote di una bicicletta, in mezzo ai suoi rumori e ai suoi dettagli, liberi di percorrerne le strade meno conosciute, di sorridere a chi si incrocia lungo il percorso, di fermarsi a mettere il muso qua e là, con l’aria che secca la vista e il sole ad accarezzare la faccia, raggi tra un palazzo e l’altro, è estremamente divertente; una giusta misura di conoscenza e ricerca metropolitana.

Io, dalla scorsa estate, a Milano, mi sposto quasi esclusivamente in bicicletta: lavoro, casa, spesa, amici. Tocca saltare i giorni di pioggia: per quelli ci sono tram e autobus. In genere, però, pedalo. Il mattino presto è il momento peggiore: concittadini di fretta e fiumi di macchine, che salano l’aria. Qualche occasione di pericolo, purtroppo, è capitata: la città non è attrezzata per accogliere i ciclisti e bisogna essere particolarmente guardinghi negli spostamenti.

Nel 1980, il consiglio comunale milanese approvò un piano per realizzare 330 chilometri di rete ciclabile urbana: secondo gli estensori del piano il progetto era, già allora, insufficiente. Da quella delibera pochissimo si è fatto e molto, molto male. Ora, con la campagna elettorale in corsa, il tema biciclette rispunta, ma spesso mancano le competenze e l’esperienza sul campo per guardare, con lungimiranza, il tema.

Eugenio Galli è il presidente di FIAB – Ciclobby (sede in via Borsieri 4/E), associazione che promuove l’uso della bicicletta a Milano. L’ho conosciuto qualche anno fa. Ho recuperato, dai materiali di un’intervista video che gli avevo fatto (assieme a Mario Garofalo), un paio di brevi spunti che mi aveva lasciato e che desidero condividere con voi venticinque lettori: quando sentirete gli ennesimi predicozzi sulle piste ciclabili, magari, cliccate “play”.

Perché le piste ciclabili sono una mezza soluzione


Perché e come andare in bicicletta a Milano