Il villaggio de La Cordata in Barona (foto La Cordata)

L’innovazione sociale che sta cambiando Milano

, 4 luglio 2015

[Da Effect Magazine] Milano è una città di cortili. Quello del mio nuovo condominio è spazioso, pieno di piante, bici e con due panchine per favorire la socialità. Il palazzo ha 104 anni ma si è appena meritato un premio per l’innovazione da Legambiente perché luogo esemplare di buone pratiche sostenibili e di condivisione. Negli ultimi anni gli abitanti, partendo dalla necessità di migliorare la raccolta differenziata, hanno organizzato cene e corsi di formazione sul tema e realizzato uno spazio per la libera condivisione di attrezzi ed elettrodomestici. Hanno rimesso al centro il benessere facendo leva sui vantaggi del bussare alla porta accanto.

Non vale solo per casa mia: Milano la si scopre davvero buttando lo sguardo nei cortili, oltre i portoni. Dentro vi si incontrano mondi inaspettati: sono i nodi di una variegata rete metropolitana, priva di un centro definito ma testimone dell’energia diffusa di una comunità.

Vicini di casa al lavoro per realizzare un orto condiviso in via Maiocchi (fonte: http://www.viamaiocchi.it/category/blog/)

Vicini di casa al lavoro per realizzare un orto condiviso in via Maiocchi (fonte: http://www.viamaiocchi.it/category/blog/)

Lo sanno bene i vicini di casa delle vie Maiocchi, Morgagni e Ponzio: sono tre delle più attive “social street” milanesi, un fenomeno, sorto sul modello di via Fondazza a Bologna, che qui coinvolge già 30 strade e sta facendo riscoprire a tanti i propri vicini di quartiere grazie a gruppi spontanei su Facebook e a iniziative come le domeniche a porte aperte, con pranzi comunitari e swap party di condominio. “Avevo voglia di conoscere le persone che mi stavano intorno e capire cosa fare con loro nel quartiere o semplicemente come migliorare il modo di abitarlo, partendo dalle relazioni” mi ha detto Lucia Maroni, una delle fondatrici della social street di via Maiocchi. “In un anno per me, per noi, è cambiata la percezione del quotidiano. Si tratta di microcambiamenti e di processi lunghi, ma pensiamo che da questa esperienza possano formarsi delle nuove comunità leggere in risposta a tanto individualismo delle nostre città”. Una conferma della straordinaria attivazione dei cittadini, dal basso, arriva dai più recenti dati sul volontariato, che dal 2001 a Milano è cresciuto del 211%.

Se c’è un segno grafico della modernità che ha descritto in maniera indelebile questa città è stato quello di Bob Noorda negli anni del boom economico italiano: disegnando le forme della prima linea metropolitana ha raccontato la corsa spedita di Milano verso il futuro. Dal primo viaggio della “rossa” sono passati 50 anni, quel segno è diventato icona, e molte cose sono cambiate. La città in questi anni si interroga su quale sia il disegno che meglio la rappresenti nel mondo contemporaneo, sulla sua identità. Le grandi fabbriche non esistono più. I vecchi stabilimenti vengono convertiti in stazioni creative, come l’ex Ansaldo, che sta diventando un polo internazionale di produzione e fruizione culturale. Milano oggi si caratterizza come città della moda e del design, della finanza, del commercio, dell’istruzione, dell’intrattenimento, della cultura e del terzo settore. In Italia è sempre stata un esempio unico di commistione dei diversi ambiti produttivi e questo ha rafforzato la sua capacità di arginare la crisi: il tasso di occupazione si attesta intorno al 65%, 10 punti in più rispetto alla media nazionale. Ma c’è di più. Negli ultimi anni a fronte delle difficoltà economiche sono maturati nuovi approcci alla vita urbana e all’impresa.

Una mappa della Milano che innova - Effect magazine

Per scaricare l’infografica curata da Effect: http://www.efc.be/wp-content/uploads/2015/06/effect_eng.pdf

I dati dell’indagine Unioncamere sulle startup ha rilevato che delle 3200 nuove aziende nate in Italia nel 2014 Milano, con le sue 470 startup, è il primo laboratorio nazionale, in particolare per quanto riguarda quelle a vocazione sociale. La realtà del terzo settore ha ormai dimensioni imponenti in tutta Italia. Secondo l’Istat in 10 anni vi è stata una crescita del 28% dei soggetti. Ma è Milano a guidare questa rivoluzione, nei numeri e nelle sperimentazioni più significative. Come FabriQ, l’incubatore voluto dal Comune a Quarto Oggiaro, in cui si coltivano i progetti sociali di domani. Cercando di capire quando questa attitudine abbia messo qui radici, ho pensato all’esperienza de La Cordata. Nata alla fine degli anni 80’, quando tramontava la Milano da bere, La Cordata è cresciuta a partire da un mondo composito e laborioso, ispirato dal messaggio del cardinale Carlo Maria Martini ma convintamente laico. Sono stati loro ad avviare, in via Burigozzo, uno dei primi ostelli cittadini, con un pensionato per studenti. L’obiettivo: promuovere l’accoglienza per integrare i ragazzi a rischio emarginazione. “A indirizzare il nostro lavoro era, ed è ancora, l’idea di favorire l’integrazione attraverso un modello di convivenza fra persone con esperienze di vita diverse, immerse nel quotidiano” mi ha spiegato Silvia Bartellini, la presidente. Da quel primo laboratorio ne sono nati altri, come il grande villaggio nel quartiere Barona. Qui il modello dell’integrazione abitativa è diventato rete territoriale, con l’idea di farne materia per tutti, non da delegare agli assistenti sociali, che pur rimangono facilitatori dei processi, ma da sviluppare attraverso l’attivazione dei cittadini. Così in questi spazi passano del tempo insieme studenti e docenti, mamme single, minori stranieri non accompagnati, anziani, artisti. La Cordata è un’impresa sociale, che impiega 80 persone. In Italia la collocazione giuridica di queste realtà è ancora irrisolta, ma di questo si tratta: non è volontariato, che certo ha fini comuni, ma impresa a tutti gli effetti, che lavora per la propria sostenibilità ma opera per la comunità, sulle orme di imprenditori come Adriano Olivetti. “La sfida per noi” ha aggiunto Silvia Bartellini “è capire oggi come il paradigma della sharing economy capovolga le logiche del welfare e come i cittadini possono essere protagonisti di un percorso che risolve i problemi di cui sono portatori. Per questo il nostro nuovo piano d’impresa lo costruiremo assieme alle comunità locali con cui lavoriamo tutti i giorni”.

Nei progetti di accoglienza risiedono molte delle energie giovani che stanno trasformando Milano. Da un gruppo di 30enni decisi a cambiare vita per creare un luogo che rendesse l’esperienza del viaggio familiare e sostenibile anche a Milano, è nato nel 2011 l’Ostello Bello. Sono stati talmente bravi, allestendo un luogo di convivialità e spettacoli, sul filo fra la generazione Erasmus e quella Airbnb, che sono stati nominati l’ostello migliore d’Italia. Più a nord, oltre parco Sempione, Asli Haddas, tecnico informatico, dopo aver lasciato il suo lavoro per colpa della crisi a 34 anni ha dato vita al suo sogno nel cassetto, il Gogol’Ostello, e le cose per lei stanno andando bene. Si tratta di un struttura low cost con caffè letterario, immaginata come punto d’incontro interculturale e realizzata attraverso il microcredito. Un nuovo ostello c’è anche in via Benaco, il Madama Hostel, nato a fianco del circolo Arci Ohibò. Sono passato a trovarli, nei mesi scorsi, e fra le persone intente a costruire tavoli e letti per il debutto ho conosciuto Valeria, Davide, Alessia e Matteo: sono i soci di Contro Progetto, una piccola società che, nella città del design, sta rivoluzionando l’approccio alla falegnameria. Nati nel 2003 come associazione all’interno della Stecca degli Artigiani, storico insediamento di botteghe e attività sociali tra via de Castillia e via Confalonieri, hanno immesso un metodo di lavoro partecipativo nel sistema artigiano locale. A metà strada fra artisti e imprenditori, hanno compreso il valore sociale e l’appeal comunicativo del rendere i propri committenti attori stessi del lavoro. Per questo, a fianco alla loro produzione di laboratorio, sempre basata sul recupero dei materiali di scarto, propongono sessioni a pagamento orario di progettazione collettiva in cui condividono il loro sapere con chi vuole imparare, anche da zero, a costruire qualcosa.

Il gruppo di Contro Progetto (foto http://www.controprogetto.it/chi_siamo.html)

Il gruppo di Contro Progetto (foto http://www.controprogetto.it/chi_siamo.html)

Di manualità, esplosa anche grazie agli strumenti digitali, c’è molta voglia nei quartieri di Milano. Makerspace come Opendot e Yatta! stanno risvegliando la voglia di fare insieme, a qualunque età. A Gorla, in una parte di città che storicamente ha collegato la grande industria dell’hinterland alla manifattura dei piccoli negozi, WeMake è la casa dell’open source applicato alla realizzazione di vestiti, materiali, arredi e “praticamente qualsiasi cosa ti venga in mente”, mi ha raccontato Costantino Bongiorno, che guida questo grande laboratorio urbano. I vecchi telai vengono hackerati con Arduino e invece di cucire fili di stoffa sui tessuti si applicano circuiti elettrici. “A WeMake si condividono conoscenze e pratiche, software e hardware. Da qui queste esperienze si confrontano col mondo attraverso la rete globale dei makers. Ma la vera sfida è sulla città: sogno un makerspace per ogni quartiere”. Spazi che si stanno diffondendo in ogni quartiere sono certamente quelli di coworking. Lo stesso Comune ha voluto investire in questa tipologia di uffici e ha stanziato dei voucher per i giovani che li utilizzano. Impact Hub Milano, Talent Garden, la rete Cowo e Avanzi sono fra i più conosciuti, incubatori di progettualità, networking e startup, in piena filosofia wiki. Tra le sigle da citare c’è Piano C, aperto da cinque donne che, oltre al coworking, hanno inserito il cobaby sitting, per aiutare chi rientra al lavoro dopo la maternità.

WeMake

La mappa della Milano innovativa non sarebbe completa senza dire del fermento che interessa gli spazi pubblici. Grazie ad alcune novità nel sistema dei bandi comunali e alla possibilità anche per i gruppi informali di proporre progetti per la città, dal 2011 ad oggi, sono stati riaperti, recuperati o sono stati destinati ad esserlo nei prossimi mesi 300 spazi pubblici (http://bit.ly/mappa-MilanoSpazioComune), spesso dopo anni di abbandono. Stanno vedendo luce progetti sociali e culturali, sportivi e di piccola imprenditoria, associativi e creativi: spazi nelle periferie sono stati destinati specialmente alle startup; cascine del patrimonio agricolo milanese, come la Triulza, dentro il sito di Expo2015, o le cascine Sant’Ambrogio, la San Bernardo e la Monluè sono state concesse per realizzare orti urbani, spazi di accoglienza e piccola ricettività no profit; gli incubatori d’impresa sono stati inseriti nel Piano di Governo del Territorio come luoghi strategici di sviluppo; gli spazi verdi abbandonati sono stati aperti alle associazioni che in pochi anni hanno fatto sorgere una decina di giardini condivisi; e molti beni confiscati alle mafie sono diventati casa di progetti sociali. Un processo che ha portato a una accelerazione nei processi di riconversione degli spazi, di cui Milano ha coltivato l’efficacia in luoghi sperimentali come Città Olinda, un progetto collettivo che fin dal 1994 ha trasformato un ex ospedale psichiatrico in un villaggio di integrazione sociale attraverso il teatro, la possibilità di lavoro per persone con disabilità, i campi estivi per i bambini e un bellissimo giardino degli aromi.

“Uno spazio pubblico lasciato vuoto e inutilizzato è uno spazio tolto alla città” mi ha detto il Sindaco Giuliano Pisapia. “Nel 2012 abbiamo introdotto nuove regole per l’assegnazione degli spazi che premiano i progetti pensati per animare la città, con attenzione ai quartieri decentrati e ai beni storici, per tracciare un nuovo percorso partecipato e dare un nuovo impulso allo sviluppo culturale, sociale ed economico di Milano. Sono orgoglioso della strada percorsa insieme a tanti cittadini. Abbiamo saputo dare nuova vita ai beni confiscati alla mafia, per esempio. Penso poi ai punti di socialità nei quartieri popolari, o alle start up dedicate proprio all’innovazione sociale. La strada è lunga, ma è sicuramente quella giusta”.

Il giardino condiviso di via Montello a Milano (foto di Giulio Giacconi)

Il giardino condiviso di via Montello a Milano (foto di Giulio Giacconi)

Sono le mille declinazioni della condivisione, sul cui paradigma oggi si interrogano le policy locali, dalla mobilità fino alle politiche sociali, dalla piazza fino al mio nuovo cortile collaborativo. Forse è proprio questa l’identità profonda della Milano contemporanea: i suoi abitanti hanno meno voglia di delegare e più di contare e questo genera scenari inediti, rigenera i luoghi, migliora la qualità di vita, cambia i processi sociali ed economici, innova per includere e crea un nuovo immaginario di città.

 

Una rielaborazione di questo post è stata pubblicata nell’edizione Spring 2015 di Effect, il magazine dell’European Foundation Centre, che potete scaricare da qui: http://www.efc.be/programmes_services/resource-centre/effect. Grazie a Ottavia Spaggiari.

English version: http://www.socialmilano.org/en/2015/07/social-innovation-is-empowering-an-urban-revolution-in-milan